Basta poco

Penso che questo sia il momento più bello e vorrei avere il potere di renderlo immortale.
Adoro tutto ciò che mi circonda, e anche la voglia di piangere, la voglia di ridere, il desiderio di lasciarmi cullare dalle parole, dagli sguardi, dal tatto. Adoro il silenzio che mi permette di osservare e ascoltare: mi amo anche così (e forse più di prima).
Sono felice di essermi liberata di alcune persone, e di averne trovate altre che, invece, sanno apprezzarmi e incoraggiarmi. Grazie.

I cocktail a misura di paghetta ecco il segreto di piazza Nascè

Repubblica — 03 dicembre 2008 pagina 10 sezione: PALERMO

C’ è chi aspira a diventare medico, chi avvocato, giornalista o giocatrice di pallavolo. Chi viene dalle zone residenziali e chi dall’ hinterland. Chi decide di festeggiarci un compleanno e chi di farne punto di partenza per la nottata in discoteca. E tutti l’ hanno eletta a luogo del cuore. è piazza Nascè, uno dei centri della movida notturna palermitana. Il motivo del suo successo? Tre euro a cocktail.
è venerdì e sono da poco passate le 23, quando i primi gruppi cominciano a gremire la piazza. Chiacchierano, sorseggiano un cocktail da un bicchiere di plastica trasparente con qualche cubetto di ghiaccio. Sono sorpresi che qualcuno voglia raccontare la loro serata: «Stiamo bevendo, ma tranquilli che non guideremo», risponde qualcuno, prevenuto. Ma basta uno scambio di battute e tutti accolgono con entusiasmo l’ idea di raccontarsi.
Chi sono, cosa pensano, di cosa parlano i ragazzi di piazza Nascè? Età media 20-22 anni, perlopiù studenti universitari, sono centinaia quelli che al suono delle note dei Doors, bevono una Beck’ s e cercano un argomento di cui parlare. Sì, perché «non sappiamo cosa fare e a volte ci annoiamo», dicono Giulia e Benny. C’ è chi frequenta questa piazza da un anno. Chi è veterano. Arrivano da ogni parte della città: da viale Strasburgo a corso dei Mille. E c’ è chi, addirittura, viene da Villabate, Baida e Tommaso Natale, pur di non mancare all’ appuntamento del venerdì e sabato sera.
Metodico anche il giro tra i bar e i pub. Si inizia da “Ai Vini d’ oro” o dal “Caffè e sfizi” e si finisce alla “Caffetteria Nascè”, un piccolo bar ad angolo con via Quintino Sella. «Il motivo è semplice – dice Andrea Ciulla, 27 anni, avvocato – nei locali qui vicino un cocktail costa 6 euro, mentre al “Nascè” solo 3 euro. E lo stesso vale per la birra». Con lui c’ è Francesca, 19 anni, che frequenta l’ Istituto tecnico statale per il Turismo Marco Polo e che da grande vorrebbe fare la giornalista: «L’ ambiente qui è carino. Lo frequento da un mese. è un punto di ritrovo per poi andare in discoteca».
Claudio Caruso, studente di scienze biologiche, si prepara a festeggiare il suo ventunesimo compleanno stappando una bottiglia di spumante, mentre gli occhi neri di Federica, studentessa di scienze motorie, scrutano e si interrogano sul motivo delle domande. Viso incorniciato tra lunghi capelli platino, le sue parole sono misurate. Ha poco tempo durante la settimana e un sogno in testa: diventare una giocatrice di pallavolo. Il suo mito è Paola Cardullo. Si allena tutto il giorno al Club Leoni e il venerdì sera piazza Nascè è il suo unico svago. Federica è la ragazza di Benny. Diplomato, disoccupato, paltò blu di panno. Spera di poter prendere il posto in banca del padre, e intanto confessa di aver ridotto le birre nel fine settimana. Ha 22 anni e già accusa problemi al fegato.
E cosa si beve alla Caffetteria Nascè? Sono trenta fogli A4 il segreto di uno dei locali più affollati della zona. Trenta cartoncini rosa, attaccati sotto lo specchio del bancone, riportano i nomi e gli ingredienti dei cocktail e invogliano soprattutto le giovani disinibite a districarsi nel mondo dei rum e dei gusti della vodka alla frutta. I drink più gettonati? «Nascè, Halloween, Valeria e Kiss – risponde Celestino, nome d’ arte del proprietario del bar, Mauro Castagnetta – ma anche la vodka liscia e la Redbull sono molto richieste». Istruttore di body building, Celestino è orgoglioso di aver inventato i miscugli.
I soldi per bere si ricavano quasi sempre da mamma e papà: una paghetta settimanale di 50 euro, utile anche per le ricariche, la benzina e le sigarette. Sono pochi, infatti, quelli che lavorano per mantenersi. Tra questi, Tommaso Caruso, laureando in economia aziendale, che ha lavorato in un call center e attualmente distribuisce giornali dei Rosanero, guadagnando 50 euro per tre giorni di lavoro.
Manfredi Farinella, studente di Scienze biologiche, non ha nessun bicchiere in mano. «Non veniamo qui per bere, ma solo per incontrare gli amici», spiega. è appoggiato alla parete del bar e chiacchiera con Luca, iscritto in Economia. Manfredi, infatti, fa parte del gruppo degli affezionati: coloro, cioè, che frequentano la piazza da due anni solo per stare insieme.
Il calcio? Sono pochi quelli che lo praticano. Ai ragazzi di piazza Nascè piacciono gli sport di élite. Ruggero gioca a golf, mentre Ferdinando fa canottaggio. è l’ una di notte. La piazza cambia volto. Le new entry danno il cambio ai primi arrivati, che un po’ brilli vanno a ballare. Clacson che impazzano, carri attrezzi che portano via le auto posteggiate sui marciapiedi, in doppia e tripla fila. Intanto, in piazza, restano solo vecchi vasi di gerani stracolmi di bottiglie vuote e bicchieri di plastica rotti.

SERENA MAROTTA GIUSEPPINA VARSALONA

Lezione di civiltà in via dei Nebrodi ‘Ripulite i bisognini dei vostri cani’

Repubblica — 06 dicembre 2008 pagina 20 sezione: PALERMO

«Oggi si dà lezione di civiltà». Così lasciano i banchi e vanno in strada muniti di cartelloni, volantini, pennelli, paletta e sacchetto. Ormai, da troppo tempo, la loro scuola è circondata dagli escrementi dei cani. Sono i ragazzi della media Pecoraro di piazza Europa. Il loro progetto, che si chiama “Salviamo i marciapiedi”, porta la firma di Anna Maria Calì, insegnante di Scienze motorie. Ad aiutarla c’ è la collega di tecnologia Giulia Bonito.
«Siamo stanchi di dover camminare guardando per terra – protestano i ragazzi della II A, III A e F – ma se non lo facciamo, ci portiamo in classe gli escrementi sotto le suole delle scarpe e attaccati alle ruote dei trolley. E la nostra lezione corre il rischio di trasformarsi in una caccia alla suola sporca».
Da qui la protesta che, ieri mattina, li ha coinvolti in una vera e propria campagna di sensibilizzazione davanti alla scuola e nelle strade del quartiere. Per attirare lo sguardo dei passanti, Fabiola e Valeria fanno il giro della scuola e, con il pennello, disegnano un cerchio attorno agli escrementi. Poi lasciano un cartoncino con su scritto: “Ehi, avete visto il mio padrone?” Qualche passante incuriosito, apprezza il gesto e suggerisce di farlo anche nelle altre vie. I “ragazzi sandwich”, Alessandro e Alberto, fanno la spola lungo il marciapiede di piazza Europa. Portano addosso due cartelloni. C’ è disegnato un cane che dice: «Non è colpa mia se sporco: è il mio padrone che non pulisce. Usa paletta e sacchetto».
Alessia e Francesco tengono in mano paletta e sacchetto: il loro compito è quello di mostrare ai passanti come si pulisce la pupù di Fido. Alle loro spalle, un cartello riporta le istruzioni per l’ uso. è scritto in francese: hanno eletto Parigi città simbolo di civiltà.
Martina e Carla sono le addette all’ informazione: illustrano le norme di tutela igienica della collettività contenute nella legge regionale numero 15 del 2000. Poi c’ è il gruppo degli intervistatori con due questionari studiati ad hoc per i padroni dei cani e per chi non ce l’ ha. «è un’ iniziativa lodevole – dice Edda Mancini, una delle tante passanti attratte dalla manifestazione – bisognerebbe multare i padroni dei cani per dare loro una lezione». Lei il cane non ce l’ ha, e le multe dovrebbero farle i vigili urbani. Ma da quanto non se ne sente parlare?
C’ è invece chi ha il cane e pulisce, come Rosalia Bonanzinga: «Pulisco sempre dove il mio cane sporca, ma regolarmente trovo i contenitori pieni. I sacchetti andrebbero svuotati», dice. Qualcuno a volte lo dimentica: «Pulisco quasi sempre», ammette ai ragazzi Giuseppe Sala, portiere di uno dei palazzi di via dei Nebrodi. Da sei anni si prende cura di Morgana, una meticcia bianca. Dietro la promessa che il «quasi» si trasformi in «sempre», i ragazzi gli lasciano il kit ricevuto dall’ Amia.
«Abbiamo chiesto all’ Amia di intervenire con lo scooby blu, la macchina per aspirare gli escrementi – spiega Anna Maria Calì – ma mi hanno risposto che sono entrambe guaste. Informati della nostra iniziativa, hanno consegnato 50 kit per i cani».
Intanto i ragazzi di terza A e F distribuiscono i volantini nei condomini e nei negozi di via dei Nebrodi: «Qualche negoziante ha appeso il volantino. Tutti hanno accolto con entusiasmo l’ iniziativa», racconta Giulia Bonino, l’ insegnante che ha accompagnato il gruppo. Alle 12 i ragazzi della Pecoraro trovano le loro «cittadine modello» che premiano con una coccarda: sono la signora Carla e Angela Leone, entrambe abitano nei pressi della scuola. Se fossero tutti come loro…

SERENA MAROTTA

Giovanni Abbate, L’ architetto che ai progetti ha preferito i cani

Repubblica — 09 dicembre 2008 pagina 10 sezione: PALERMO

Ha lasciato lo studio per dedicarsi ai cani. L’ architetto Giovanni Abbate, 61 anni, oggi gestisce il rifugio Eureka, in via Valenza, nella borgata di Villagrazia. Una struttura immersa nel verde che ospita 80 cani e assicura loro un pasto, cure e affetto ma che per mancanza di spazio li costringe all’ interno dei box.
Molti animali sono stati recuperati per strada, feriti. Altri lasciati legati al cancello del rifugio, e qualche cucciolo persino nel cassonetto. A ognuno di loro è stato scelto un nome. Da dicembre del ‘ 96, l’ architetto Abbate si prende cura di loro. Una scelta che gli è costata 20 mila euro all’ anno, sacrifici e non poche difficoltà: da quelle economiche a quelle burocratiche, sino all’ intolleranza di qualche vicino disturbato dalla presenza dei cani. Due volte, negli anni scorsi, ha trovato i sigilli al cancello: la prima per un giorno. La seconda per un mese. Questo però non l’ ha scoraggiato, anzi.
Nessun rimpianto per la sua scelta. E di fronte allo stupore di chi lo ascolta, l’ architetto risponde: «Sono stato gratificato dalla professione. Ho cominciato realizzando un piccolo progetto per Ettore Cittadini, all’ ospedale Cervello. Dopodiché, mi hanno chiamato tutti i vari primari. Sono stato pure assistente all’ Università. Ho insegnato progettazione architettonica al liceo artistico sino al ‘ 93. A un certo punto, però, non riuscivo più a conciliare le cose – spiega – e quindi, nel 2003, ho deciso di lasciare lo studio e di occuparmi a tempo pieno dei cani».
Se ne è occupato da solo, per anni. Sacrifici ripagati con 340 euro l’ anno. è questo l’ ultimo contributo che nel 2004 il Comune ha stanziato per Eureka. Adesso ne servirebbero almeno 15 mila per le spese di manutenzione. Spese che l’ architetto non può più permettersi, come pure il mantenimento dei cani. Per questo motivo, a partire da marzo del 2007, con un’ ordinanza sindacale che viene reiterata, il Comune ha concesso ad Abbate un aiuto: ogni giorno, due operatori Gesip portano sacchi di croccantini al rifugio e lo aiutano a pulire.
L’ amore per gli animali l’ ha ereditato dal nonno materno, uno dei Villabianca, pronipote di Francesco Maria Emanuele Gaetani marchese di Villabianca, nobile e storico palermitano del Settecento. Con lui, nell’ azienda agricola di famiglia a San Piero Patti, in provincia di Messina, Giovanni Abbate trascorreva l’ estate finita la scuola. Erano gli anni Cinquanta. Lì viveva libero.
La stessa libertà che l’ architetto vorrebbe dare ai suoi cani. «Cerco di tenerli nel miglior modo possibile, ma non sono liberi. Vivono reclusi all’ interno dei box. è un carcere». Intanto, è difficile darli in adozione: «In un anno sono riuscito ad affidarne solo due – spiega. Bisognerebbe puntare sull’ anno dell’ adozione. L’ iniziativa temporanea, fatta alla vigilia delle elezioni, non serve a nulla. Il Comune dovrebbe finanziare delle campagne di sensibilizzazione adeguate. Si dovrebbe cominciare dalle scuole». Giovanni Abbate è una persona serafica. Spesso si sente ripetere da qualche amico una battuta: «Sei prescrivibile dalla mutua?»

SERENA MAROTTA

‘chi bellu ciauru’: il marchio di Rosario, sfincionaro di Borgo Nuovo

Repubblica — 16 dicembre 2008 pagina 8 sezione: PALERMO

Chi non conosce la sua abbanniata: «Chi bellu ciauru. è bello, ora ‘u sfurnavo. Io ci fazzu gràpiri ‘u pitittu». è l’ inconfondibile richiamo dello “sfincionaro”. E Rosario Gugliuzza, che da 22 anni fa il venditore ambulante di sfincione, all’ abbanniata ha aggiunto biglietti da visita e messaggio promozionale sul tettuccio della sua motoape: «Se sfincione vuoi mangiare da Rosario devi andare».

Ovale o rettangolare, con o senza formaggio, caldo o freddo: è lui, lo sfincione, il protagonista della cucina made in Palermo di cui Rosario, 41 anni, contribuisce a tenere viva la tradizione.

Tutto è cominciato allo stadio. Lì, suo suocero Giuseppe vendeva lo sfincione. Da lui Rosario ha imparato il mestiere. «Mio suocero era malato – racconta – e io sono un amante del pallone. Una domenica di 22 anni fa, allo stadio, mi sono offerto di aiutarlo. In poco tempo ho venduto tutto. L’ indomani, ho comprato il lapino e ho cominciato a vendere lo sfincione».

Il suo giro comincia alle 6,30 da piazza Sant’ Isidoro alla Guilla. è qui, che a notte inoltrata, alla “Centrale dello sfincionello” alzano le saracinesche: pentole enormi colme di cipolla si intravedono dalla piazza, mentre qualche gatto fa la guardia e un gruppo di ragazzi consuma la leccornia appena sfornata sul posto. Da qui Rosario, caricate le 15 teglie sul lapino arancione tirato a lucido, inizia la sua giornata lavorativa. Ha clienti di tutti i tipi: dalla massaia che gli abbassa il paniere dal balcone al professionista che fissa un appuntamento per raggiungerlo.

Sono le dieci di mattina quando in via Dante arriva, a bordo del suo scooter, Massimiliano Principe, commercialista che abita in piazza Croci. «Questo sfincione mi è piaciuto più degli altri – dice – ho incontrato Rosario in via Malaspina. Da allora, ogni volta che ho voglia di mangiare sfincione, gli telefono e ci diamo un appuntamento. Stasera ho amici a casa che non mangiano il formaggio, e questo è perfetto perché è senza».

Consegnate le cinque teglie, Rosario saluta il cliente e prosegue per via Parlatore. Il suo giro terminerà a Borgo Nuovo, dopo aver attraversato la Noce. Alle 20 Rosario potrà tornare a casa dalla moglie e dai figli: ne ha quattro, l’ ultimo arrivato ha poco più di un anno. Cosa gli darà Rosario da mangiare?

SERENA MAROTTA