Repubblica — 03 dicembre 2008 pagina 10 sezione: PALERMO
SERENA MAROTTA GIUSEPPINA VARSALONA
Repubblica — 03 dicembre 2008 pagina 10 sezione: PALERMO
SERENA MAROTTA GIUSEPPINA VARSALONA
Repubblica — 06 dicembre 2008 pagina 20 sezione: PALERMO
SERENA MAROTTA
Repubblica — 09 dicembre 2008 pagina 10 sezione: PALERMO
SERENA MAROTTA
SERENA MAROTTA
Repubblica — 19 dicembre 2008 pagina 14 sezione: PALERMO
SERENA MAROTTA
Repubblica — 31 dicembre 2008 pagina 9 sezione: PALERMO
I bambini che giocano in piazza, le passeggiate domenicali all’ ombra delle palme, il caffè sorseggiato al tavolo del bar, le carrozze in attesa dei viaggiatori davanti alla stazione e le partite a calcio organizzate dai ragazzini nella villetta restano solo un ricordo di chi in piazza Lolli ha trascorso la propria giovinezza.
Oggi a dare il benvenuto al passante in una delle piazze storiche della città ci sono una lavatrice e un frigorifero, che sbucano tra i numerosi cassonetti disposti poco distanti dalla statua dedicata al poeta Giovanni Meli. E questo è solo l’ inizio del percorso. Fatta eccezione per il tratto di strada tra i due distributori di benzina e il marciapiede davanti ai pochi negozi di accessori e delle palazzine che si affacciano sulla piazza, lungo tutto il marciapiede che costeggia l’ ex stazione ferroviaria, dismessa dagli anni Sessanta, ci sono cumuli di cartacce che la pioggia dei giorni scorsi ha trasformato in poltiglia, e rifiuti di varia natura: un tavolino di legno, un cartellone divelto, sacchetti di plastica, cicche, qualche ombrello rotto. Più avanti, all’ altezza del giardino della vecchia stazione, ci sono due divani e una decina di bottiglie di birra vuote per terra.
Si tratta dell’ angolo che la gente del posto ha soprannominato dei beddi chiaruti: qui, ogni pomeriggio, un gruppetto di persone consuma alcol in quantità.
«Era una piazza viva e pulita – dice Carmelo, 52 anni, residente – e adesso ci sono solo degrado e desolazione. Io faccio il cuoco, quando non lavoro mi fermo comunque qui a chiacchierare con gli amici». La piazza infatti continua ad essere un luogo di incontro per trascorrere qualche ora in compagnia.
«Ho trascorso in questa piazza tutta la mia gioventù – racconta Pietro Lo Bianco, 55 anni, amico di Carmelo – passavo qui intere giornate insieme agli altri ragazzini del quartiere. Trascorrevamo il nostro tempo nella villa a giocare a calcio. Il giorno dei morti giocavamo con le pistole appena ricevute in regalo. Ora c’ è solo degrado, purtroppo». Orgoglioso, Pietro mostra delle foto in bianco e nero che risalgono a 50 anni fa e che ritraggono lui e la sua famiglia proprio in piazza. Ricorda perfettamente ogni angolo della piazza di allora: «Dove oggi c’ è il venditore di caldarroste – dice Lo Bianco – c’ era un chiosco che vendeva bibite e il proprietario dava sempre al cocchiere l’ acqua per far bere i cavalli. Le carrozze sostavano tra la piazza e via Dante, all’ altezza del giardino della ex ferrovia. All’ interno del giardino – continua – c’ era un bar con i tavolini. Poi, negli anni, quel bar ha lasciato il posto a un pub e, dopo esser stato un campo di bocce dove si riunivano i vecchietti della zona, adesso è abbandonato».
Sono poche le persone che, come Pietro, continuano a frequentare la piazza. Ma tutti condividono lo stesso pensiero: «Rivogliamo piazza Lolli pulita e curata com’ era sino a vent’ anni fa». C’ è anche chi ci lavora da 19 anni, come Giovanni Tinnirello, che d’ estate vende i fichi d’ India e i meloni e d’ inverno le caldarroste. E ancora chi ci lavora da 40 anni: «Eseguo piccoli trasporti con il lapino – dice un uomo con gli occhi azzurri e i capelli bianchi – faccio il trasportatore da 40 anni. Quando funzionava la stazione invece, scaricavo i vagoni. Prima era una bella piazza, adesso è trascurata».
Ogni giorno Salvina Vitellaro arriva puntuale all’ appuntamento con Stellina, Diana e Poldo: sono i tre cani che la piazza ha adottato da circa dieci anni. Salvina poggia la borsa blu con dentro il cibo e intanto dà una sistemata alla cuccia allestita sotto il ficus. «Ho portato i croccantini e l’ acqua – dice – frequento questa piazza da quando sono nata. Mia madre mi portava ogni domenica a passeggiare nella villetta oppure mi portava al cinema Dante per guardare un film. Adesso vengo qui solo per prendermi cura dei cani. Diana tempo fa è stata male e per curarla servivano 800 euro, così abbiamo fatto una colletta e l’ ho portata dal veterinario».
E sullo stesso tratto di marciapiede, accanto al ficus, quando i pomeriggi non solo troppo freddi, alcuni vecchietti si organizzano per giocare a carte: «C’ era il campo di bocce dove i vecchietti potevano riunirsi – dice Salvina – ma da quando l’ hanno chiuso, il giardino raccoglie rifiuti di ogni tipo e i vecchietti sono costretti a stare per strada».
E se i tentativi di creare degli spazi ricreativi per i residenti sono finiti in una bolla di sapone, c’ è ancora un luogo nella piazza che rappresenta un pezzo di storia: è il cinema Dante, nato come cineteatro per il dopolavoro ferroviario. «è stato progettato nel 1939 per ospitare una compagnia filodrammatica – dice Salvatore Siviglia, che lo gestisce da nove anni – la sua storia di cinema inizia dal dopoguerra. Oggi seguiamo una programmazione regolare con film di prima visione». A pochi passi dal cinema, all’ angolo con via Selinunte, un segnale di vita viene da “Rossosiciliano”, un piccolo wine bar nato due mesi fa: «Lavoriamo più nei week-end – spiega il proprietario Marco Genzardi – apriamo per l’ aperitivo e stiamo qui sino a notte inoltrata. Il locale accoglie giovani che arrivano da varie zone della città, ma c’ è anche qualche residente che porta a spasso il cane e si ferma a bere un bicchiere di vino».
SERENA MAROTTA
http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2008/12/31/la-piazza-tenuta-viva-dai-ricordi.html
14 giugno 1940. Le truppe tedesche occupano la Polonia: nasce il campo di Auschwitz
Sulla razza e sul sangue, si concentra il programma di guerra dell’uomo che ha compiuto i peggiori crimini contro l’umanità: Adolf Hitler. Un programma di guerra (più che una concezione politica) contenuto in un libro intitolato “Mein Kampf” (La mia battaglia) e scritto da Hitler durante i suoi anni di prigionia.[1]
Si tratta di un’opera in due volumi che racchiude la missione di tutta la sua vita: far trionfare, contro tutte le leggi false e artificiali, una legge naturale e sacra: quella della comunanza del sangue.
Hitler mira alla realizzazione di «una razza germanica pura», a preservarne la purezza del sangue, attraverso il controllo delle nascite e dei matrimoni. È nel sangue che risiede la forza o la debolezza dell’uomo, secondo il dittatore. La razza ariana ha dunque il ruolo di civilizzare il mondo e di dominarlo.
Hitler vede lo Stato come uno strumento, un “contenitore”, che ha una duplice funzione: all’interno, lo scopo è di riunirli, di proteggerli e farli arrivare al dominio. Lo Stato dovrà dunque vegliare affinché cessi ogni nuovo incrocio razziale.
Per adempiere all’interno alla sua missione, lo Stato ha due mezzi: la propaganda e l’educazione rivolta agli individui. La propaganda deve rivolgersi alle masse, deve essere efficace: non si indirizza al cervello, ma ai sentimenti della folla.
Poi c’è l’educazione: lo Stato razzista si preoccupa poco di far entrare la scienza nei cervelli. Prima corpi perfettamente sani, poi la formazione del carattere (sviluppo della forza di volontà e capacità di decisione), infine la cultura delle facoltà intellettuali. È di combattenti che il Reich ha bisogno, non di intellettuali. Una sola idea dovrà essere fissata nei giovani cervelli, l’idea-madre, quella della razza. Alla fine dell’educazione sarà consegnato al giovane tedesco un diploma di cittadino del Reich.
All’esterno, la missione dello Stato è quella di conquistare lo spazio necessario alla vita e alla dominazione naturale della razza ariana. È necessario isolare la Francia, il nemico della Germania. Compagni d’arme sono l’Italia e l’Inghilterra. Questo spazio da conquistare è a Est, è la Russia.
Da questo pensiero prende vita quella che dal 1940 diventerà una gigantesca fabbrica della morte: Auschwitz, il campo di sterminio e di concentramento centrale del Terzo Reich dove troveranno la morte ebrei, zingari e prigionieri di guerra sovietici.
[1] Allora capo del partito nazionalsocialista, fu arrestato nel 1923 per aver tentato un colpo di stato. Nominato nel 1933 cancelliere del Reich, poi diventato Führer della Germania dal 1934 al 1945.
10 giugno 1966. John Lennon mette a punto la tecnica del nastro suonato al contrario: la canzone è Rain dei Beatles.
Ecco il testo:
If the rain comes they run and hide their heads
They might as well be dead
If the rain comes, if the rain comes
When the sun shines they slip into the shade
(When the sun shines down)
And drink their lemonade
(When the sun shines down)
When the sun shines, when the sun shines
Rain, I don’t mind
Shine, the weather’s fine
I can show you that when it starts to rain
(When the rain comes down)
Everything’s the same
(When the rain comes down)
I can show you, I can show you
Rain, I don’t mind
Shine, the weather’s fine
Can you hear me, that when it rains and shines
(When it rains and shines)
It’s just a state of mind?
(When it rains and shines)
Can you hear me, can you hear me?
Sdaeh rieht edih dna nur yeht semoc niar eht fI
(Rain)
(Rain)
Mussolini dichiara guerra a Gran Bretagna e Francia
Attratto dal “bottino” facile, convinto che si sarebbe trovato seduto al tavolo delle trattative di pace, il 10 giugno 1940, Mussolini decide di abbandonare “la non belligeranza”: l’Italia entra in guerra.
Roma. Giacomo Matteotti deputato socialista viene assassinato dai fascisti.
Era un sabato. Matteotti uscì di casa verso le quattro per andare a Montecitorio. Ad attenderlo, sul Lungotevere, un’automobile con cinque uomini a bordo: Dumini, Volpi, Viola, Poveromo, Malacria. Erano gli uomini della Ceka, una squadra di avanzi di galera al servizio del fascismo per punire gli oppositori.
Matteotti si accorse dell’auto solo quando fu troppo tardi: lo afferrarono e lo catapultarono dentro. L’auto iniziò la sua corsa: Matteotti cercò di difendersi tirando un calcio nei testicoli di Viola e il suo tentativo di liberarsi fu bloccato da una pugnalata che gli recise la carotide. Il cadavere di Matteotti fu ritrovato il 16 agosto nel bosco della Quartarella.
La sua colpa? Aver chiesto il diritto di parlare.
Giacomo Matteotti il 30 maggio 1924 aveva chiesto di invalidare i risultati elettorali del 6 aprile: la maggioranza governativa, secondo il deputato, quei quattro milioni di voti non li aveva ottenuti liberamente.